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Questo giovane eppur maturo artista italiano, Gabriel Fekete, forbito docente di discipline plastiche nei licei artistici, fa vivere nelle sue sculture sia un nuovo pensiero della cultura, che un novello sentimento che reclama proprio un new romanticism. Sovverte tutta la filosofia e il fare della scultura contemporanea che spesse volte ha dato ampio rilievo alla dissacrazione dell’immagine,con materiali non solo legati all’arte povera, ma proponendo installazioni che ci hanno fatto dimenticare le radici di una bellezza tutta classica. E allora ben vengano questi esempi alla Fekete capaci di ripopolare la scultura contemporanea con esempi di ardita figurazione,ma anche di umanissima e stringente analogia di libertà e chiarezza. Nessun provincialismo e nessun barocchismo vanno a intendere il suo lavoro che invece si scopre come nobile riscatto della finitezza che dall’arte classica dei greci fino al Rinascimento ha dato voce all’espressione dell’anima. Significato etico e sentimentale accompagnano sia la perfezione esteriore delle sue opere che l’espressione di una coerente interiorità,tracciati aristocratici che si adeguano alle esigenze del materiale da lui usato, ovvero la terracotta.
Fekete non ha fornito alla plastica contenuti essenzialmente nuovi, se non quelli di riscattare la plastica del corpo umano nei suoi limiti di finitezza e di infinita scrittura alfabetica della bellezza, ma nelle immagini figurali che ci consegna lascia vivere uno stile esemplarissimo con cui esprime l’atteggiamento dell’anima moderna verso la vita.
Senza indugi potrebbe essere definito il Donatello del nostro tempo, in quanto questa sua scultura lascia leggere sia la forma corporea sostanziale e plastica, sia il movimento pieno di pathos.
Eccole le sue terrecotte, talune a misura d’uomo, che ritraggono teneri amanti e donne lussuriose, manifeste nelle membra tornite,nelle turgide prominenze, nei volti attraversati dalla fluida bellezza che si riproduce ogni volta nei movimenti delle braccia e delle mani, nell’inclinazione del busto, nella leggerezza del passo. Chiamiamo tutto ciò grazia ed è per questo che l’aria e l’aura che si respirano attorno a queste sculture, in questa connessione spaziale che le contiene in spazi anche ristretti , pare proprio alimentare per posizioni di profilo e rapporti di luci e ombre,una dominante new romantic di visibile impressione.
Lo scultore conosce bene come procedere nella struttura e nella dinamica di tutto il corpo sotto la pelle e di tutto il rapporto dell’uomo con il mondo e di ciò che è così penetrato nel modo di essere delle superfici plastiche, perchè come dice Goethe : “ non c’è nulla nella pelle che non sia nelle ossa”. Ecco perchè si percepisce un’esistenza totale in questa nutrita compagnia di donne bellissime , una passerella di corpi nudi capaci di sorprendere lo spettatore e di radicarlo in questa infinità di un divenire inquieto, in questo bellezza tutta neoromantica con radici grecizzanti . Questa monumentalità tutta italiana di fare scultura certo si sostanzia dell’ideale classico che Fekete ha assorbito durante la sua formazione prima e oggi nel suo lavoro in crescendo, ma la visibilità certa di questo modo di fare scultura indica come meta della sua ricerca il latente eroismo di ogni movimento naturale.
Fekete chiede alle sue modelle di assumere pose che sostanziano la perfezione della forma anatomica,rese poi fluide dal movimento e dal sentimento che aleggia e le fa sembrare mutevoli negli stati d’animo e nei destini, tanto da leggervi malinconia ed ebbrezza,nostalgia e desiderio, natura e storia, libertà e necessità, emozione e pathos,carnalità e spiritualità, e quell’umanità tutta vera e certa che ne svela i moti. Ma compito dell’arte è la liberazione dei tumulti,e dei vortici di vita ,la liberazione artistica dell’inquietudine ,sicchè quella dinamicità “naturaliste”viene a placarsi in una tendenza psicologica che sorvola su ogni opera e le toglie ogni febbre, ogni smodatezza, ogni crudo realismo, per porgere tutto questo mondo femminile nell’oscillazione esistenziale che bene appare su ogni volto.
Persino il nucleo delle “educande” presenta equilibrio e unità visiva di eccezionale ottica; senza tralasciare la serie delle “monache”, pannelli in altorilievo dove i volti ritratti fuoriescono dalle vesti e dai veli copricapo,e tutto il rappresentato, dal volto al panneggio, sono essenzializzati in confini molto ristretti.
Ora si vedrà come l’occhio di ogni visitatore troverà o ritroverà nella scultura di Gabriel Fekete sia la pura immagine sensibile dell’uomo e della sua natura, ma soprattutto l’inquietante attualità di dare alla bellezza un corpo e un sentimento unitario alla natura universale.
Milano, 2 Maggio 2010