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Nel bel libro di diritto privato “Punto di svolta” ho trovato due termini davvero interessanti: estrattivo e generativo. Gli autori dicono che possiamo abitare il mondo in modo estrattivo oppure in modo generativo.”Estrattivo” è lo stile di chi si considera al centro del mondo e “usa” tutto ciò che lo circonda, riduce a “materiale usabile” tutto il creato e tutte le persone. Estrattivo è quell’individuo che considera il mondo una cava di pietra di sua proprietà e vive “estraendo” voracemente tutto ciò che serve, piace, fa comodo. Estrattivo è l’atteggiamento di chi vive dominando, consumando, rubando. Al contrario “generativo” è chi si sente “parte” di un tutto più grande di lui. Generativo è chi contribuisce alla vita altrui, sentendola parte di se. Generativo è chi apprezza ciò che è comune, chi si adopera per migliorare il mondo, chi si prende cura dell’altro. Mi pare illuminante tale sottolineatura. Ci interroga sul nostro modo di stare al mondo, anzi sul nostro modo di guardare il mondo. Siamo estrattivi o generativi? Siamo voraci o desideranti? Siamo padroni o partners? Tali domande sono valide ad iniziare dai nostri occhi. Abbiamo occhi troppo estrattivi! Guardiamo le cose pensando al loro uso e dimentichiamo di guardarne la bellezza. Così usiamo senza meraviglia, senza gratitudine. Spesso addirittura senza gusto. Usiamo, funzioniamo, consumiamo. Così facendo riduciamo ogni cosa. Perché l’uso dimentica il senso, dimentica il colore, la luminosità, la grazia, la sorpresa, lo stupore. E tutto perde bellezza. Si usa e si scarta. Si usa, si scarta e si ritorna ad usare. In una catena senza fine. Quasi una coazione a ripetere. Quasi una condanna. Un consumo spasmodico cercando di riempire pancia, pelle, cuore. E diventiamo un fascio di bisogni, spegnendo i desideri. Usiamo senza stabilire relazioni, senza entrare in relazione. Usiamo quasi “senza vedere”. E così riduciamo anche gli altri ad oggetti. Senza incontrarli, senza ammirarli, senza desiderarli, senza vederli. Estrattivi anche con le persone. Per diventare generativi abbiamo bisogno di cambiare lo sguardo.
Le opere di Gabriel Fekete ci aiutano ad acquistare questo nuovo sguardo, soprattutto rispetto alla donna, ancora guardata spesso in modo “estrattivo” usata, ridotta ad oggetto, a volte addirittura violentata. Le opere di Gabriel Fekete, soprattutto le sue sculture, sono un inno alla bellezza della donna. Le sue sono donne belle perché quasi se ne vede l’anima. Molto carnali, eppure pervase di spirito, di vento, di leggerezza. Sono donne cariche di identità, di carattere, di domande. Stanno pensando, stanno attendendo, stanno sognando, stanno amando. Sono molto di più di un oggetto. Non le puoi “usare”. Ti invitano ad avere uno sguardo che sa ammirare, andando oltre, guardando dentro. Ti aiutano a ritrovare lo sguardo di Adamo di fronte ad Eva appena creata. Là Adamo restò ammirato e divenne poeta, cioè capace di “cantare” la sua donna. Così in quell’ammirazione “scelse” di costruire una relazione, di uscire da sé per andare incontro a lei. Scelse uno sguardo amoroso. E vide in lei il divino. Un regalo di Dio. In questa luce diventano interessanti le scultura della coppia attorno al figlio. Lui e lei, si sono ammirati, sono stati sorpresi dal desiderio amoroso, si sono scelti, hanno camminato insieme sulla stessa strada, senza usarsi ma costruendo una relazione paritaria, sentendosi parte di qualcosa di più grande… ed è nato un figlio. L’atteggiamento generativo si è concretizzato in una nuova creatura. Che li supera e li compie. Il bimbo, infatti, è più grande di loro, ha un viso molto più grande del loro: esprime il figlio, il futuro, l’amore di coppia. Anzi, stando in mezzo ai loro sguardi, esprime il prodigio di una sguardo generativo. Che li avvicina allo sguardo di Dio. Dio non ci usa mai. Ci ammira, sempre. E, guardando ogni cucciolo d’uomo sulla terra, non smette di dire: “E’ cosa molto buona, molto bella” (Gen1). Fragile e bella. Come le sculture in terracotta di Gabriel.
Pinerolo Marzo 2019